La Storia

Giovanni Giangreco

Dalle “parazioni” alle luminarie:

architettura e apparati effimeri nel Salento.

Perché le architetture e gli apparati luminosi di oggi meravigliano e attirano così tanta gente in ogni angolo d’Italia e del mondo?
La risposta è semplice e complessa allo stesso tempo: ragioni storiche, culturali, antropologiche, artistiche fuse insieme nell’idea di tradizione culturale locale quale si è tramandata attraverso i secoli e, oggi, viene avvertita e vissuta nel Salento.
Quest’idea di tradizione culturale è permeata dalla chiara coscienza della sua autonomia e si fonda sulla riconoscibilità dell’identità culturale del suo territorio rispetto a quelli confinanti e agli altri del Mezzogiorno.
Da Romanelli e Porto Badisco alla Regio Secunda augustea (Apulia et Calabria); da Bisanzio e dal limitone dei Greci al martirio di Otranto e al Barocco Leccese fino alle feste patronali.
Sono questi i dati imprescindibili ed evidenti intorno ai quali si è sviluppata la civiltà salentina che, pur modificandosi attraverso i secoli, è riuscita a creare e conservare un sostrato culturale proprio, diffuso e condiviso tra i suoi abitanti, che li ha resi coscienti di appartenere ad un territorio e ad una tradizione antica nella quale si sono sempre riconosciuti.
Identità culturale salentina come frutto di una profonda e rilevante idea del proprio passato visto come “età dell’oro” in quanto sommatoria di una grande civiltà di cui si sono perdute le tracce (Roca, i Messapi, i Greci, i Latini, i Bizantini) e la memoria (chiarezza dei ricordi che neppure l’archeologia e gli archivi riescono a dare) ma ne è rimasta una coscienza irrazionale nonostante la tragica sequela delle vicende storiche subite a partire dall’invasione dei Normanni fino all’Unità nazionale.
Da qui il concetto, tutto salentino, di “acchiatura”: convinzione, che tutti hanno, e specialmente coloro che appartengono alla classe contadina o comunque al popolo, che ciò che emerge dal terreno testimonia di un’età dell’oro della quale si sono perdute le tracce ma che si crede con certezza esserci stata.
In mezzo, come spartiacque storico – antropologico – culturale, il Concilio di Trento come tentativo, malriuscito o, forse, non del tutto riuscito, di sradicare quella centralità dell’elemento greco salentino (italo-greco) che aveva avuto il merito di mantenere vivi e coscienti i legami con la cultura territoriale (indigena) più antica.
In definitiva con il senso del passato.

Il classicismo greco

Ed è il classicismo greco – salentino che soccomberà di fronte al classicismo latino – fiorentino che riuscirà ad alimentare solo nei ceti popolari la coscienza di appartenere ad un territorio, prima che ad un popolo – tenuto conto delle contrastate vicende etnico-culturali che hanno spesso caratterizzato la Terra d’Otranto – del cui passato bisognava gloriarsi e andarne orgogliosi.
Ma dell’importanza culturale del Salento si accorgerà solo il nord Europa definendolo col termine di “Salenta” (alla greca, perché ritenuto terra che aveva ereditato dalla Grecia e da Bisanzio l’eredità culturale greca) come terra dell’utopia (ne accennano, tra gli altri: Schekspeare , Fènelon, ecc.).
In questa maniera riusciamo a spiegarci meglio nel Settecento il perché di un titolo come quello scelto da Horace Walpole col Castello di Otranto, con tutta l’influenza letteraria che seguirà.
E quando nei circoli umanistici dell’Italia si farà strada l’idea di recuperare, sul piano letterario, la cultura classica con l’uomo centro e misura di tutte le cose, da noi sarà quasi naturale e senza sforzo alcuno il diffondersi dell’idea degli “apparati effimeri” e del concetto della festa.
Firenze, Roma, Venezia, Milano, Padova, Napoli, Urbino, Mantova, Ferrara, Bologna, poi Parigi, Madrid, Vienna ed altre capitali europee, faranno a gara nell’organizzare feste con apparati effimeri, macchine per fuochi d’artificio, supportate da artisti del livello di Brunelleschi, Mantegna, Leonardo, Michelangelo, Bernini, Vaccaro e tanti altri che metteranno al servizio delle case regnanti, dei Comuni o della Chiesa, il loro talento artistico per animare e dare concretezza al concetto di “meraviglia” per la durata della festa. E spesso le loro creazioni da effimere diverranno durature attraverso l’utilizzo di modelli e disegni per le feste applicati all’architettura nella costruzione e decorazione di chiese, palazzi e nell’arredo urbano (per es. a Nardò la cupola dell’osanna o la guglia dell’Immacolata, a Scorrano la guglia di S. Domenica, a Vernole la guglia di S. Anna, ecc.).
In Terra d’Otranto la festa si manifesterà come sintesi della cultura antropologica, religiosa, civile (dello stato) e civica del paese; si giungerà ad identificare la festa con le parazioni: identità semantica di due concetti differenti (si dice ancora oggi: “sta rria ‘a festa e sta ggiustene ‘a festa”) ma con un unico termine.

Il periodo barocco in Terra d’Otranto

Del periodo barocco in Terra d’Otranto, come esemplificazione più nota, si ricorda l’apparato in forma di struttura cupoliforme (vera e propria cassarmonica) progettata da Giuseppe Zimbalo per i funerali della moglie di Francesco Castromediano a Cavallino, donna Beatrice Acquaviva d’Aragona, morta a soli 28 anni (1634) dopo la nona gravidanza.
Ma veniamo alle caratteristiche tecniche.
Le “parazioni”, realizzate dai paratori, si dividono in esterne (archi, frontoni, candelabri, spalliere, cassarmoniche, gallerie, con spezzoni vari quando ve n’era bisogno nell’addobbo di strade o spazi urbani, …) ed interne, realizzate da paratori specializzati per gli interni – di chiese e palazzi -: toselli, panneggi, corone liturgiche, troni, altari, “sepolcri”, castellane, gonnole, catafalchi, recinti, ….Presenza costante negli apparati, interni ed esterni, era sempre la luce, accesa all’esterno dopo il tramonto o, nei momenti topici della festa, anche di giorno (al passaggio delle processioni o di illustri personaggi durante le parate, ecc.). E qui, per gli interni soprattutto, il contributo
maggiore verrà dalle novità dottrinarie della Controriforma e dalla cultura barocca come fondamenta e supporti filosofici delle strutture sociali, religiose e politiche dell’ancien règime. Religione, pittura e scultura insieme con l’architettura saranno il terreno fertile per novità e creazioni artistiche impostate sul concetto di maraviglia: in definitiva tutto doveva essere volto alla formazione del suddito-fedele catechizzato secondo il dettato conciliare di una società religiosa e laica che riconosceva nella fede cattolica la vera fede e nell’accettazione dell’ordine sociale dello stato la garanzia della legalità (Le prediche delle numerose missioni popolari in ogni centro abitato additavano come modello religioso e sociale la famiglia come piccola chiesa domestica all’interno della societas christiana rinnovata – rievangelizzata – dai precetti conciliari).
Accanto alle parazioni i fuochi artificiali, con girandole, razzi, maschi, e “macchine da fuoco” che impressionavano gli spettatori nei momenti culminanti della festa.
E i “musicanti”, che successivamente diventeranno le bande musicali i quali con pastorali marce e canzonette giungeranno alle sinfonie e alle opere del melodramma italiano ed internazionale.
Tutte insieme queste tre forme d’arte contribuiranno a tenere alto il livello del gusto popolare nel Mezzogiorno d’Italia, e nel Salento in particolare, rendendo conosciuti i nomi dei grandi compositori musicali, delle ditte dei paratori e di quelle dei “furgulari” (pirotecnici). Tutto questo cambierà con l’arrivo dei francesi e, col mutare dell’ordine sociale;
cambieranno i committenti, le occasioni delle feste. Mancheranno, accanto a quelle private, anche le risorse pubbliche.
Solo le feste patronali resisteranno e, sporadicamente ed in tono minore rispetto al passato, qualche anniversario civile.
A Scorrano fin dal 1549, in occasione della visita per la presa di possesso del feudo da parte di Isabella De Capua, moglie di Ferrante D’Aragona, ininterrottamente le parazioni, esterne ed interne alle chiese, continueranno ad essere allestite creando il contesto culturale adatto per la salvaguardia di una tradizione che ha portato ai risultati che oggi tutti conosciamo. Qui, però, la spinta più forte alla conservazione è venuta dalla tradizione religiosa dei festeggiamenti patronali in onore di Santa Domenica. E quella religiosa si è fusa con la tradizione civile nell’obiettivo del riconoscimento della rilevanza della fede religiosa con quella civica per perpetuare l’antico protagonismo del paese nel territorio.
All’interno di questa tradizione scorranese la luce ha un rilievo straordinario proprio nel ricordo di un miracolo legato alla liberazione dalla peste del paese.
Le fiamme delle lucerne accese sulle finestre di Scorrano per segnalare il miracolo dell’avvenuta guarigione degli abitanti dalla peste nel 1600 si sono trasformate, attraverso le secolari parazioni (apparati effimeri) nelle odierne luminarie che incantano tutto il mondo e che testimoniano l’antica tradizione della luce rinnovata nel miracolo contemporaneo dell’Arte Salentina delle Luminarie.